“Racconti Fotografici” Numero 102: intervista ad Angelo Adorisio

Bentornati a “Racconti Fotografici” eccoci alla 102° edizione , oggi intervistiamo il fotografo Angelo Adorisio, buona lettura.

 

Ti puoi presentare per gli amici che ancora non ti conoscono ?

Sono Angelo Adorisio, ho 56 anni e sono nato in un piccolo paese di montagna in Calabria, a Longobucco, in provincia di Cosenza, qui ho terminato il primo ciclo di studi con la maturità scientifica. Nel 1982 mi sono trasferito a Roma dove ho completato gli studi in Economia e Commercio. Oggi lavoro in un istituto bancario e sono papà di due meravigliosi bambini di 7 e 11 anni.

 

Da piccolo cosa sognavi di fare?

Da piccolo sognavo tutt’altro che entrare in banca…volevo fare il pilota di auto da corsa! Nello stesso tempo divoravo film di ogni genere sull’unico canale allora visibile (Rai 1) che trasmetteva un film a settimana e precisamente di lunedì, giorno che aspettavo con trepidanza e impazienza e forse anche questo ha contribuito ad alimentare una visione e un interesse che dopo è esploso nella fotografia.

 

La prima foto che hai scattato?

La prima foto mi ricorda la prima vera macchina fotografica, una reflex Olympus OM-1, parliamo della fine degli anni 70, con la quale scattai un intero rullino in bianco e nero e dove gli scatti non erano mirati a un soggetto particolare ma a capire sin da subito il funzionamento della inscindibile triade Asa, tempo di scatto e diaframmi che racchiude in sé tutto lo scibile della fotografia daquando è nata fino ai nostri giorni. L’aspetto tecnico e la potenzialità dello strumento, fino alla ricerca del suo limite, mi hanno sempre accompagnato in questo percorso. Per ritornare alla domanda, la primafoto è sempre l’ultima perché ogni volta che scatto una foto è talmente emozionante che è come se fosse la prima.

 

Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perché?

Potrei citare McCurry, Oliviero Toscani o Helmut Newton ma la vera ispirazione la trovo nelle migliaia di foto, anche di sconosciuti, che osservo e analizzo, trovando, in ognuna di esse, qualcosa di nuovo e originale che arricchisce la mia conoscenza ed entra a far parte del mio bagaglio che mi supporta ogni volta che c’è qualcosa da fotografare. E’ chiaro che bisogna avere un minimo di conoscenza delle regole per poterle, poi se è il caso, infrangere.

 

Cosa non è per te la fotografia?

Non è fretta, non è approssimazione, non è un perimetro chiuso; al contrario è ispirazione, è lo specchio dello stato d’animo che attraversi in quel preciso momento, è libertà di usare uno strumento che, come la fantasia, ha potenzialità enormi.

 

Qual è la sfida di ogni scatto?

E’ quella di realizzare qualcosa che non sia banale, che sia il risultato dell’elaborazione di un pensiero, di un ragionamento. Cerco sempre la bellezza nella rappresentazione delle mie foto. Il bello per essere riconosciuto deve essere oggettivo e composto da elementi che lo qualifichino nitidamente come tale. Nelle mie foto di architettura la ricerca delle simmetrie è elemento indispensabile della bellezza e dell’estetica. Un esempio è la mia foto del Palazzo della Civiltà a Roma, apparentemente un cubo, ma la fotografia riesce a cogliere ed evidenziare quelle simmetrie realizzate attraverso lo studio e la ricerca meticolosa del giusto punto di ripresa, simmetrie difficilmente percepibili attraverso un’osservazione occasionale dell’opera architettonica.

 

Che cos’è la curiosità?

E’ sperimentare. La fotografia è un universo infinito che ti permette di fare sempre nuove esperienze

e spaziare nella ricerca senza mai percorrere due volte la stessa strada ma sempre nuovi e inesplorati

percorsi.

 

Chi o cosa ti piacerebbe fotografare?

Amo la fotografia e tutti i suoi generi, mi piacerebbe fare anche fotografia di moda o food photography, dove ti trovi in ambiente controllato con luci e attrezzature dedicate per l’attività specifica.

 

Qual è il tuo prossimo progetto?

Non ho un obiettivo inteso come realizzazione di qualcosa in un tempo determinato, penso e spazio molto sui soggetti da fotografare, alcuni li ho meditati anche per molto tempo prima di presentarmi davanti al soggetto con la macchina fotografica, mi piace l’attesa e quando mi accingo a realizzare lo scatto è come se già sapessi come lo devo fotografare. Le opere dell’architetto Calatrava mi affascinano molto e come in tutte le opere di architettura anche in queste sono alla ricerca delle simmetrie.

 

Quali tappe hai attraversato per diventare il fotografo che sei oggi?

E’ stata una continua crescita. All’inizio, come ho già detto sopra, mi sono dedicato alla conoscenza dello strumento, alle tecniche di ripresa e tutto ciò che riguarda il funzionamento della camera. Quello che ho imparato in questa prima fase lo devo tutto all’analogico, alla sua pellicola e alla mia vecchia Olympus OM-1. Dopo è venuta la parte più difficile: la composizione. Un grande conoscitore della tecnica è niente se non conosce le regole basilari della composizione. La giusta ed equilibrata composizione regala ad un osservatore ignaro di tali regole quell’estetica piacevole e un senso di bellezza, lasciandolo inconsapevole del perché ciò accada.

 

Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso?

La difficoltà maggiore è quella di non avere la percezione di quello che realmente si è quando si inizia, purtroppo si ha erroneamente la presunzione di sentirsi un grande fotografo non apprezzato, poi in seguito con la maturità e con l’esperienza si impara a essere umili, a confrontarsi e a scambiare le proprie esperienze con chi è più bravo di te, step indispensabile per una sana crescita.

 

Quali esperienze decisive hai avuto nell’ambito fotografico?

Come dicevo sopra lo scambio reciproco di esperienze, la frequentazione di gruppi e associazioni – delle quali faccio parte – ti consentono di scambiare esperienze e valutazioni tali che arricchiscono la tua conoscenza molto più velocemente di quello che potresti fare da solo e in maniera empirica provando e riprovando.

 

Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto?

Nel caso delle mie foto per poter cogliere l’”attimo giusto” paradossalmente hai bisogno di un attimo molto lungo. Per esempio nella foto del ponte di Calatrava a Cosenza, mi sono recato sul ponte di pomeriggio quando ancora c’era la luce del sole. L’ho percorso più volte cercando di capire quale fosse il miglior punto di ripresa. Ho scattato delle foto di prova con il cellulare che ho analizzato attentamente prima di ritornare successivamente con tutta l’attrezzatura. Sono ritornato dopo le 22,00 quando il ponte era illuminato con le luci dedicate alla struttura e ho eseguito 3/4 scatti preventivamente meditati.

 

Che rapporto cerchi di instaurare con le persone/soggetti che vuoi ritrarre?

In fotografia si sa che quello che è bello per l’occhio umano non sempre risulta altrettanto bello dopo lo scatto. Se un paesaggio è bello da vedere non è detto che lo sia anche guardando la stessa scena su una fotografia. Chi fotografa deve cercare di dare al soggetto quel protagonismo che lo renda artefice principale della scena dandogli una giusta collocazione sul fotogramma, cosa non sempre facile!

 

Cosa ha influenzato il tuo stile?

Le reminiscenze scolastiche sul disegno, come lo studio della prospettiva, mi hanno supportato molto nella ricerca equilibrata di linee geometriche ed armoniche da impressionare sul sensore della mia fotocamera.

 

Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare?

Mi premeva porre l’attenzione sulla moltitudine di nuovi fotografi improvvisati che utilizzano il cellulare per esercitare un’arte così nobile. Si può anche utilizzare un cellulare per la fotografia a patto però che se si conosca bene la tecnica fotografica e i limiti di un telefonino. Il dramma di questa ondata di novità è che l’utilizzo del cellulare impone una inquadratura verticale “obbligata” dalla postura e dall’impugnatura del telefonino, questo non fa bene alla fotografia perché stravolge le regole basilari con il risultato di una composizione deturpata o inesistente. Senza una corretta composizione la foto perde di ogni significato e importanza indipendentemente dal soggetto più o meno importante che si sta riprendendo.

 

Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?

Più che un aneddoto mi premeva far riferimento a una falsa convinzione che si è venuta a creare tra i fotografi riguardo alla lente Tilt Shift che erroneamente si pensa vada usata esclusivamente su cavalletto; non è così, il TS è una lente che si usa tranquillamente come tutti gli altri obiettivi senza cavalletto e come tale si potrà usare anche sul cavalletto per gli stessi scopi per i quali si usa un normale obiettivo, tipo lunghe esposizioni, esposizioni multiple, ecc.

facebook – Angelo Adorisio
Juza Photo – Angelo Adorisio

 

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