“Racconti Fotografici” Numero 30: intervista a Sergio Pitamitz

Cari Lettori, eccoci alla 30° edizione di “Racconti Fotografici”. Questa edizione è dedicata a Sergio Pitamitz, fotografo professionista da oltre tre lustri e attualmente fotografo di National Geographic Creative. Sergio ci racconta la sua fotografia attraverso parole e immagini. Buona Lettura

Ti puoi presentare per gli amici che ancora non ti conoscono?
Fotografo professionista da oltre trent’anni. Ho lavorato in vari settori della fotografia, il che mi è servito molto per la mia crescita professionale. Fotografia di studio, Gran Premi di Formula 1, fotoreportage giornalistico per quotidiani e settimanali. Per poi approdare al reportage geografico a metà anni ’90, lavorando Sipa Press  e in seguito Corbis e per i più importanti mensili di viaggi italiani. Da poco più di 10 anni mi dedico alla fotografia naturalistica. Da 5 anni sono fotografo di National Geographic Creative.
Da piccolo cosa sognavi di fare? 
Girare il mondo. Sono stato a fare servizi in più di 70 paesi, non so esattamente quanti… E poi lavorare per National Geographic! Non era il mio obiettivo, era solo un sogno. Mai avrei pensato di un giorno di entrare a far parte di una così esclusiva istituzione. 
La prima foto che hai scattato? 
Una foto notturna di Menton, in Costa Azzurra, con una macchinetta fotografica di plastica con pellicola 110 trovata in omaggio di un fustino di detersivo. Non mi ricordo quanti anni avevo esattamente, forse 7 anni.
Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perché?
Non mi ispiro a nessuno particolarmente. Guardo i lavori di tutti, non solo fotografi di natura.
Sicuramente però all’inizio hanno influito molto Giorgio Lotti per il suo utilizzo del colore e della composizione ed Ernst Haas per la sua creatività. Ma potrei citarne tanti altri: David Douglas Duncan, Henri Cartier-Bresson, Eugene Smith, Steve McCurry e David Alan Harvey per il reportage. Per la natura Frans Lanting, Mitsuaki Iwago, Michael Nick Nichols, Beverly Joubert e Steve Winter. Potrei elencarne dozzine, ho citato solo i primi che i sono venuti in mente. Bisogna nutrirsi delle immagini dei grandi fotografi e crearsi una propria visione.
Cosa non è per te la fotografia? 
La falsificazione dell’immagine attraverso Photoshop. Per me la fotografia è documentazione, seppur soggettiva, di un fatto oggettivo, realmente accaduto. Non sono contro l’elaborazione digitale o la post-produzione eccessiva, ma la considero una forma d’arte derivata dalla fotografia. Invece che avere una tela e i pennelli, si hanno a disposizione un sensore e Photoshop. Ma è importante informare il fruitore di queste immagini che cosa sta guardando: una documentazione di un momento reale o una sua interpretazione artistica? Bisogna posizionarsi. O si documenta e si è fotografi, o si rielaborano immagini e si è artisti. Bisogna sempre ricordarsi che “fotografia” significa “scrivere con la luce”, non con Photoshop. Ripeto, nulla di male, vedo in giro immagini con post-produzioni bellissime, ma voglio sapere cosa sto guardando.
Qual è la sfida di ogni scatto? 
La sfida per quanto mi riguarda non è realizzare uno scatto migliore dei miei precedenti o di quelli di altri fotografi ma è realizzare una storia o lavorare a fondo su un soggetto.
Che cos’è la curiosità? 
Il conoscere a fondo il soggetto che si sta fotografando, sia esso una persona o un animale. Devo sapere che cosa sto fotografando, come fotografarlo e perché, per poterne fare un racconto. Quello che si chiama “storytelling”. Non cerco l’immagine fine a se stessa.
Chi o cosa ti piacerebbe fotografare?
I felini più elusivi: il leopardo nebuloso e il leopardo delle nevi. Inoltre il pinguino imperatore, ma per quest’ultimo ho un viaggio fotografico in Antartide – il mio terzo nel continente di ghiaccio – che si svolgerà a dicembre 2017…
Qual è il tuo prossimo progetto? 
Non so ancora. Per ora sono impegnato sul fronte dei grandi felini che stanno diminuendo a velocità allarmante. Cerco di anche di raccogliere fondi per National Geographic’s Big Cats Initiative. Se volete fare la vostra parte per la loro salvaguardia, donate anche pochi euro su www.causeanuproar.org o tramite la pagina dedicata che trovate sul mio sito. Anche il minimo contributo può essere molto utile!
Quali tappe fondamentali hanno segnato il tuo percorso professionale?
Agli inizi, come già detto, la collaborazione con settimanali e quotidiani che hanno formato il mio lato fotogiornalistico. Poi sicuramente l’ingresso nell’agenzia milanese Focus Team, specializzata in viaggi, è stata una svolta e mi ha dato modo di inserirmi nell’ambiente dell’editoria di viaggi e turismo. A metà degli anni ’90 la collaborazione con l’agenzia francese Sipa Press, in quegli anni una leggenda del fotogiornalismo. Infine nel 1998 la collaborazione con Corbis Images e infine nel 2012 naturalmente l’ingresso come Contract Photographer a National Geographic Creative, che rappresenta e distribuisce le immagini e i video dei fotografi e videomaker della mitica istituzione americana. Il mio primo ingresso nella famosa sede di Washington è un ricordo che rimarrà indelebile. Da allora ci vado regolarmente per il meeting annuale dei fotografi che si tiene ogni anno a gennaio.
Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso? 
In Italia tante. Era difficile farsi ricevere da direttori di riviste e agenzie per mostrare il proprio portfolio e ricevere incarichi. Per questo motivo mi sono presto rivolto all’estero.
Poi l’invidia delle persone. Più sali in alto, più hai persone che amano e seguono il tuoi lavoro, ma parallelamente cresce anche il numero di persone – tutto sommato poche per fortuna – che non accettano i risultati da te conseguiti. 
Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto? 
Indubbiamente la pazienza, abbinata a una buona conoscenza del soggetto fotografato. E in fotografia naturalistica è innegabile che la fortuna in certi casi abbia il suo peso.
Cosa ha influenzato il tuo stile? 
Senza dubbio il frequentare i colleghi e i photo editor della National Geographic. Anche per Nat Geo Kids o per la divisione libri, le aspettative nei nostri confronti sono  molto alte, quindi dobbiamo sempre dare il meglio. Ma per arrivare a ciò non ti criticano negativamente anzi, ti aiutano, ti consigliano. Inoltre non sono più solo alla ricerca della foto forte o di un bel ritratto, ma cerco anche una documentazione a più ampio spettro. 
Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare?
 
I divieti che vengono imposti nei parchi a causa del numero sempre crescenti di fotografi – professionisti e non – che vanno a fotografare nelle aree protette senza rispettare le regole più elementari del rispetto nei confronti della fauna. 
Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?
 
Pochi mesi fa mi sono recato a Kalama, una conservancy confinante con il parco nazionale di Samburu in Kenya per realizzare alcune foto con una camera trap per Nat Geo Creative e per completare il mio libro a breve in uscita. Il soggetto che speravo di fotografare era un leopardo residente nell’area. La sera stessa dopo aver posizionato macchine e flash, il leopardo invece di pattugliare lungo il suo abituale itinerario e far scattare la camera trap è venuto a dormire letteralmente contro la mia tenda!
Website:
National Geographic Creative: 
www.natgeocreative.com/photography/sergioPITAMITZ
Instagram:
@pitamitz
Facebook professional page:
Facebook Viaggi fotografici:
Il libro Wild Africa:

African elephants (Loxodonta africana) in the dust, Chobe National Park, Botswana.

Lions, Panthera leo, Chief Island, Moremi Game Reserve, Okavango Delta, Botswana.

A lioness (Panthera leo) chases doves from a waterhole, Savuti marsh, Chobe National Park, Botswana.

Close up of a lion eye (Panthera leo), Kapama Game Reserve, South Africa.

A leopard, Panthera pardus, running through tall grass.

A lioness, Panthera leo, walking along a fallen tree trunk at night.

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