“Racconti Fotografici” Numero 41: intervista a Enzo Dal Verme e Joe Oppedisano

I fotografi che insegnano il workshop di ritratto fotografico, corsi di fotografia in Toscana per studenti di fotografia, fotografi professionisti e fotoamatori. Un workshop fotografico pratico ed esperienziale. Un corso di fotografia per imparare a fotografare ritratti

Bentornati a “Racconti Fotografici” eccoci alla 41° edizione , dove ho avuto l’onore di intervistare due fotografi molto diversi fra di loro che da poco hanno deciso di cominciare a collaborare: Joe Oppedisano ed Enzo Dal Verme. Sono amici da trent’anni e mai avevano pensato di fare qualcosa insieme. E invece… adesso hanno un progetto davvero interessante! La curiosità mi ha spinto a fare loro qualche domanda:

 

Cosa vi ha portato a unirvi per un’esperienza di lavoro congiunta?

Enzo: è successo per caso, parlando delle nostre esperienze d’insegnamento ci siamo accorti di avere due o tre studenti in comune. Insegnamo in un modo diverso e anche fotografiamo in un modo molto diverso. Allora ci siamo detti: chissà cosa verrebbe fuori se insegnassimo insieme? E da lì abbiamo cominciato a progettare il workshop che faremo a Marzo. Un esperimento.

Joe: sì, è andata proprio così: chiacchierando abbiamo deciso di provare un’esperienza diversa e di offrire un workshop a quattro mani.

 

Da piccolo cosa sognavi di fare?

Enzo: ero concentrato ad essere piccolo e non pensavo tanto a cosa fare “da grande”.

Joe: io fantasticavo di viaggiare e scoprire il mondo. A scuola ero affascinato dalla storia antica e sognavo i luoghi e i personaggi che studiavamo. Poi mi piaceva molto la musica, suonavo la chitarra e mi sarebbe anche piaciuto diventare musicista.

 

La prima foto che hai scattato?

Enzo: non ricordo esattamente ma credo il bordo consumato di uno scalino di pietra. Ero affascinato dai segni che lascia il tempo sulla materia. Anche adesso lo sono, infatti mi piace fotografare le persone e le loro espressioni. Rughe e cicatrici comprese. Poi ci sono le cicatrici nell’anima, che non sono sulla pelle ma si vedono lo stesso.

Joe: verso la fine degli anni ’60, a casa nostra c’era una piccola 35mm instamatica della Bell & Howell con il flash a cubo. Quella era la macchina che usavo. Sinceramente non ricordo la prima foto scattata, però ricordo la prima foto che ho ideato e che ho messo in scena. Il soggetto era la mia chitarra elettrica Gibson con una mia maglia in una composizione un po’ surrealista. Lo considero un autoritratto. È stato lì che ho abbandonato il sogno di diventare musicista per cercare, invece, di diventare fotografo professionista.

 

Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perché ?

Enzo: io ho una mente poco logica e più creativa. Faccio fatica a ricordare i nomi delle persone, le date, i numeri e tutte le cose che hanno bisogno di logica. Però ricordo le emozioni, le sensazioni, i momenti d’ispirazione… Mi è capitato di rimanere incantato ad osservare una foto su un pezzo di giornale strappato abbandonato per strada senza sapere chi fosse l’autore. Solo recentemente sono diventato più attento ai fotografi che hanno lasciato un segno dentro di me. Si va dai grandi fotografi di moda che hanno fatto sperimentazione negli anni ’80 e ’90 a una fotografa sconosciuta che ha ritratto in ospedale i malati di Alzheimer con una visione talmente poetica che mi ha fatto piangere.

Joe: i fotografi sono davvero tanti, quelli che fanno parte della storia della fotografia storica e contemporanea che ho potuto conoscere studiando fotografia alla School of Visual Arts.

 

Qual’è la sfida di ogni scatto?

Enzo: essere soddisfatto.

Joe: dipende dello scatto che devo realizzare. Se si tratta di una messa in scena, la sfida è fare in modo che sia il più fedele possibile all’idea di base e ottenere un effetto naturale. Per il reportage, per me la sfida è raccontare in immagini una storia in modo che sia il più fedele possibile alla realtà e che comunichi delle emozioni che tocchino il cuore e la mente.

 

Che cos’è la curiosità?

Enzo: per me è una delle qualità fondamentali per osservare il mondo e per fotografare. Molto spesso noi guardiamo le cose senza veramente vederle. Siamo davanti a un fiore, il nostro cervello ci dice “è un fiore” perché lo abbiamo imparato e passiamo oltre. Un bambino molto piccolo invece resta affascinato. Lo guarda, lo annusa, lo tocca, lo mette in bocca… è curioso da morire, non sa che cosa sia e vuole sperimentarlo. Io dico sempre ai miei studenti di osservare la realtà con gli occhi di un bambino piccolissimo. Non dare nulla per scontato, non pensare di sapere già che cosa abbiamo davanti, ma essere molto curiosi. Aiuta a vedere meglio, percepire più dettagli e sottigliezze.

Joe: senza curiosità non c’è interesse in niente. La curiosità è il carburante del sapere che ti porta a scoprire mondi nuovi. Un esempio è il mio lavoro sul circo nato con l’idea di fare una mostra e poi durato 20 anni. Quel microcosmo fantastico mi aveva talmente affascinato e catturato che ho continuato a frequentarlo per approfondire il progetto.

 

Esiste lo scatto perfetto? Uno scatto perfetto lo deve anche essere tecnicamente?

Enzo: a mio avviso no. La perfezione è noiosa perché deve aderire a qualche ideale di perfezione e se si sgarra solo un pochino già sembra che ci sia un difetto. Ci sono foto sfocate, mosse, sovraesposte o mal inquadrate che sono meravigliose. Lo stile di un fotografo si può esprimere in tanti modi e l’impeccabilità tecnica è solo uno dei tanti.

Joe: uno scatto è quasi perfetto quando emoziona e stimola interesse nelle persone che lo vedono. Non deve necessariamente essere tecnicamente perfetto. Per esempio: le immagine di Mario Giacomelli sono piene di poesia, ma tecnicamente povere. Quelle di William Klein anche.

 

Chi o cosa ti piacerebbe fotografare che ancora non hai fotografato?

Enzo: così tanto e così tante persone che non so da che parte incominciare un elenco!

Joe: mi piacerebbe viaggiare continuamente per un anno e girare il mondo documentando le persone che incontro creando un diario visivo.

 

Qual’è il tuo prossimo progetto?  Farete altri progetti insieme in futuro?

Enzo: Un libro con un editore francese, completamente diverso da tutto quello che ho fatto fino ad ora. Me l’ha proposto, ne abbiamo discusso a lungo e adesso piano piano lo sto realizzando. Devo dire che mi sta mettendo molto in crisi perché mi obbliga a fare delle cose completamente nuove e molto al di fuori dal mio ambito consueto. In un certo senso è una sofferenza, ma sto imparando tanto. Per quanto riguarda la collaborazione con Joe, questo è un esperimento e non abbiamo ancora discusso potenziali sviluppi futuri. Intanto ci concentriamo su questo con grande impegno.

Joe: il mio prossimo progetto e una mostra di immagini in bianco e nero scattate con una Pinhole 10 x12 sul quale sto lavorando da 5 anni. Questa esperienza con Enzo è qualcosa di nuovo e diverso, abbiamo tante cose che potremmo insegnare insieme e magari proporremo altri workshop. Ma è presto per parlarne.

 

Quali tappe hai attraversato per diventare il fotografo che sei oggi?

Enzo: ho seguito il mio entusiasmo anche quando gli altri mi dicevano che era una stupidaggine, ho fatto tantissimi errori, subito molti rifiuti e ho fatto tesoro di tutto. Ovviamente ci sono anche state coincidenze fortunate e opportunità capitate all’improvviso, ma le avversità sono state moltissime. La sfida è imparare da ogni esperienza.

Joe: quando ho deciso di diventare fotografo, sapevo che avrei dovuto studiare la tecnica fotografica e mi sono iscritto alla School of Visual Arts di New York. Poi ho trovato un lavoro come assistente in uno studio professionale di alto livello dove, in pratica, ho fatto bottega. Nel frattempo ho creato un portfolio con la mia visione fotografica, il primo portfolio era sul nudo surreale.

 

Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso?

Enzo: quelle che probabilmente incontrano tutti gli esseri umani: volere un risultato e invece ottenerne un altro! Il che può fare male, ma aiuta anche ad aguzzare l’ingegno. Per esempio, quando ho cominciato ad essere molto presente su internet pensavo che avrei attirato l’attenzione di nuovi clienti. Il che è anche capitato, ma non avevo previsto che avrei anche attirato una quantità straordinaria di studenti di fotografia da tutto il mondo con un sacco di richieste di consigli. La situazione stava diventando difficile da gestire. Allora ho preparato un piccolo manuale in pdf per sveltire le mie risposte. A quel punto, è capitata un’altra cosa che non avevo previsto: il manuale ha avuto delle ottime recensioni su importanti blog di fotografia che hanno attirato l’attenzione di un editore americano. Adesso una versione ampliata del mio manuale è stata pubblicata in America ed è distribuita internazionalmente. Si trova anche su Amazon. Tutto questo per dire che – a volte – le difficoltà possono trasformarsi in opportunità.

Joe: all’inizio della mia carriera avrei voluto fare reportage perché mi piaceva viaggiare. Nel 1976 è capitata una buona occasione: l’Alitalia di New York mi commissiona un lavoro per l’ufficio del turismo della Toscana e vengo in Italia con un gruppo di giornalisti. Proprio alla fine di questo viaggio avviene il drammatico terremoto in Friuli e con due giornalisti del quotidiano di Philadelphia ci rechiamo nella zona per fare un servizio. In quella situazione tragica non mi sentivo a mio agio a scattare perché avrei voluto aiutare più che fotografare. È stato lì che mi sono reso conto che il vero reportage non era per me e ho cambiato strada cercando lavoro nell’ambito pubblicitario. Per il resto ho avuto fortuna e, per una serie di coincidenze, ho fatto il mio primo lavoro da professionista che avevo appena 21 anni.

 

Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto? 

Enzo: io credo che sia importante avere lo stesso stato di allerta che hanno i cani quando alzano le orecchie e stanno immobili per captare tutto prima di… scattare.

Joe: pre-visualizzazione, istinto e molta fortuna.

 

Che rapporto cerchi di instaurare con le persone/soggetti che vuoi ritrarre?

Enzo: per scattare un ritratto io cerco l’empatia e questo è proprio uno dei temi fondamentali dei workshop che insegno (a parte questo con Joe nel quale mi occuperò solo di composizione e stile)

Joe: cerco di fare sentire i soggetti delle mie foto al proprio agio e instaurare fiducia in loro. Se non li conosco, prima di incontrarli cerco di documentarmi sui loro interessi, hobby, sul loro lavoro o su altre cose che mi aiuteranno ad instaurare un dialogo durante le riprese.

 

Cosa ha influenzato il tuo stile?

Enzo: a volte si è trattato banalmente delle esigenze della rivista per cui scattavo. Per quanto riguarda il mio lavoro più personale, seguo il mio istinto e osservo la foto che prende forma. Io dico spesso che non è il fotografo a “fare” la foto. Il fotografo prepara il terreno e poi la foto accade. Si tratta di un’infinità di imprevisti, compresi gli starnuti dei soggetti, gli errori di impostazione, il tempo che cambia di colpo e… chi più ne ha più ne metta! Anche lo stile si evolve in modo imprevedibile, influenzato da una moltitudine di circostanze.

Joe: Io sono costantemente ricerca di me stesso e di quello che mi circonda. Non so se ho uno stile. Forse potrei dire di avere tanti stili. Nel mio lavoro personale mi ha influenzato la storia della fotografia, l’arte del ‘900, il surrealismo, il cubismo e altri movimenti artistici.

Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare?

Enzo: adeguarmi ad un sistema dove i clienti ti chiedono come prima cosa quanti followers hai su Instagram, tutti si improvvisano fotografi o esperti di fotografia e fotografare… passa in secondo piano.

Joe: personalmente non riscontro problemi e fotografo quasi tutti i giorni. Mi tiene vivo. Ma a livello professionale è ben diverso. Dico sempre che la tecnologia ha ucciso la tecnica. Oggi chiunque può definirsi fotografo perché ha una macchina fotografica sempre con sé: anche se non la vuole è incorporata nel suo telefono! E poi si parla tanto di linguaggio, ma personalmente io vedo una Torre di Babele che diventa sempre più grande e più confusa. Una volta si poteva credere alla fotografia come documentazione, oggi ne dubitiamo perché è troppo facile da manipolare. Lo si vede persino nei concorsi di fotogiornalismo. Nel linguaggio della fotografia bisognerebbe avere un codice deontologico ferreo. E quel codice esiste, ma in quanti lo seguono? Si tratta di un discorso lungo e forse questa intervista non è la sede adatta…

 

Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?

Enzo: stavo scattando un reportage a Shanghai e per strada ho visto un fotografo cinese con il mio stesso obiettivo. Mentre lui era concentrato a scattare l’ho fotografato e poi sono andato da lui e gli ho fatto vedere la foto sulla mia macchina. Ci siamo messi a ridere, ma lui parlava solo cinese e non riuscivamo a comunicare un granché. Allora ci siamo salutati. Dopo un’oretta sento qualcuno che mi dà una pacca sulla spalla: era lui che mi aveva seguito e fotografato mentre io scattavo. Ci siamo scambiati gli indirizzi email e poi le foto. Adesso uso quasi sempre quella foto per il mio profilo sui social media.

Joe: nel 1995 ho fotografato Gorbaciof durante una cena in suo onore in una casa privata a Milano. C’era tutta la “Milano da Bere” ed ero l’unico fotografo. Scattavo foto casuali usando pellicola 3200 in bianco e nero. Dopo la cena eravamo tutti in fila per salutare Gorbaciof e sua moglie Raiza. Quando è arrivato il mio turno, Gorbaciof – con l’aiuto del suo interprete – mi ha chiesto come mai non usassi il flash e ha preso in mano la mia macchina che avevo a tracolla come se volesse controllarla. Gli ho risposto che non volevo disturbare le persone usando il flash. Poi mi è venuto in mente che forse lui pensava che io fossi della CIA e che la mia macchina fotografica fosse un congegno per registrare le sue conversazione con i vari personaggi!

 

 

Joe Oppedisano conosce la tecnica d’illuminazione come pochi altri, la sua esperienza si è sviluppata principalmente nella foto pubblicitaria, di Teatro, e sperimentazione fotografica. Tra tante, ha firmato le campagne di Adidas, Pionier, Apple, Fiat, American Express…

…alcuni scatti di Joe Oppedisano (clicca sulle foto per ingrandire):

 

Enzo Dal Verme ha un approccio creativo ed è cresciuto professionalmente più nel campo editoriale spaziando dalla moda al reportage. I suoi ritratti di celebrità sono stati pubblicati da Vanity Fair, The Times, L’Uomo Vogue, GQ, Marie Claire…

…alcuni scatti di Enzo Dal Verme (clicca sulle foto per ingrandire):

Entrambi hanno anche sviluppato una carriera nel mondo dell’arte. Insieme condivideranno con gli studenti i propri trucchi e segreti professionali per ottenere risultati d’impatto nel workshop di ritratto che si terrà dal 3 al 5 Marzo in Toscana.

 

 

I fotografi che insegnanoi il workshop di ritratto fotografico, corsi di fotografia in Toscana per studenti di fotografia, fotografi professionisti e fotoamatori. Un workshop fotografico pratico ed esperienziale. Un corso di fotografia per imparare a fotografare ritratti

 

 

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