“Racconti Fotografici” Numero 211: intervista a Francesco Francia

Bentornati a “Racconti Fotografici” eccoci alla 211° edizione , oggi intervistiamo il fotografo professionista Francesco Francia, buona lettura.

Ti puoi presentare per gli amici che ancora non ti conoscono ?
Innanzi tutto grazie a tutti  voi, ma soprattutto  a chi ha la pazienza di leggere questa intervista a cui rispondo molto di getto.
E’ difficile parlare di me, perché il mio viaggio verso la fotografia è stato una sorta di tratta aerea, dirottata più volte da eventi, studi collaterali e ossessioni.
Non mi sento un fotografo puro, in quanto la direzione della fotografia è parte integrante del mio lavoro. Ma andiamo con ordine.
Parlando del mestiere nudo e crudo, forse poco affascinante agli occhi di molti appassionati,  mi occupo di fotografia pubblicitaria.
Per passione ho iniziato a fare ritratti rubati con macchine analogiche random ( che non sono ritratti, leggendo l’intervista capirete il perché ) , poi  nudi in studio con schemi luce complessi scattando col bando ottico o col medio formato,  ma poi tutto è cambiato.
Il mio lavoro consiste principalmente nel progettare e realizzare  campagne pubblicitarie foto e video, editoriali moda, look book, copertine per libri, comunicazione aziendale e ritratti istituzionali destinati alla pubblicazione editoriale e pubblicitaria.
La cosa che amo di più del mio lavoro  è collaborare con il committente, l’art director o il fashion editor per progettare la campagna o l’editoriale fin dalla sua fase iniziale.
Il mio lavoro non è limitato alla parte realizzativa delle foto o dei videoclip, ma partecipo attivamente già  dall’identificazione del target di riferimento, fino alla realizzazione del moodboard, per arrivare a  concretizzare la serie di immagini progettate nello storyboard.
Amo la fotografia di moda e pubblicitaria per il fatto di avere dei paletti: questo  è  stato ed è un grande  stimolo perché ti fa alzare l’asticella facendoti uscire dal tuo campo di azione per intraprendere sempre strade nuove.
Prima di fare il fotografo mi occupavo di marketing strategico in una compagnia, e questo è stato un propulsore per orientare poi la mia passione in un lavoro.
I miei studi di economia, fotografia e comunicazione visiva si sono intrecciati anche con lo studio della psicologia, materia che mi appassiona e ossessiona come anche l’estetica.
La mia più grande passione però  è la luce, intesa come illuminotecnica e direzione della fotografia.  La terza passione ( la seconda è il linguaggio fotografico) è la condivisione.
Ho sofferto molto all’inizio per trovare una guida seria che mi insegnasse tecnica e contenuto rispetto a questo linguaggio, e questo è stato il motore che mi ha spinto ad aiutare chi vuole intraprendere questa strada.
Sono specializzato in illuminotecnica e direzione della fotografia ed insegno questa materia, parallelamente a fotografia e  comunicazione visiva in Nikon School e in diverse Accademie e  circoli fotografici  sparsi un pò per l’ Italia tra cui il Centro Sperimentale di Fotografia Adams.
Propio all’ Adams iniziai più di venti anni fa i miei studi, partendo dal sistema zonale e dalla sensitometria.
Ancora oggi il Sistema Zonale è la base per il mio metodo di lavoro e se volete vi spiego il motivo.
Parlando di amore per la divulgazione, che va oltre l’insegnamento  retribuito in scuole e accademie, ho sempre aperto le porte a chi volesse venire sul set, ho creato un gruppo di condivisione gratuito ed ho collaborato gratuitamente con istituti come la Montana State University e L’università per gli stranieri di Perugia per progetti formativi internazionali.
La mia passione per l’illuminotecnica mi ha portato a specializzarmi in modo maniacale sia sul ritratto a 360° che nello still-life. Grazie a questa ossessione per la luce,  ho avuto accesso da ragazzo a set di rilievo in cui ho fatto il tecnico luce e mi ha permesso oggi di diventare Testimonial  per due grandi aziende di illuminazione: Elinchrom per cui sono Ambassador Italiano nel mondo e De Sisti Lighting.
La stessa passione mi ha avvicinato al mondo del glamour in stile Playboy e, nel tempo, ho coronato la mia ambizione di diventare fotografo per la Rivista.
Da anni sono fotografo per Playboy, ed ho realizzato diversi  editoriali e copertine per la rivista del coniglietto.
Da piccolo cosa sognavi di fare?
L’astronauta e lo sogno ancora.
La prima foto che hai scattato?
A 5 anni una polaroid a mia madre.
Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perché ?
Facendo advertising molto probabilmente non si vedono sempre  le tracce di ciò che mi ha realmente influenzato.
Quando faccio fotografia pubblicitaria e campagne per esempio,  entro totalmente in simbiosi con l’obiettivo stilistico del set  che adatto anche il mio stile  alle esigenze del mood ( versatilità necessaria per un fotografo pubblicitario, che si ottiene solo con un’approfondita conoscenza della tecnica e delle opportunità creative che ne derivano).
Se faccio glamour il mio taglio è sicuramente in chiave Playboy U.S.A.  anni 90-2000, molto concentrato sul soggetto, patinato e ricco di rim-lights.
Quando realizzo invece un editoriale moda  o un progetto che racconta una storia, dove ho più possibilità di manovra, si vede  invece sicuramente l’influenza degli autori che ho studiato e analizzato sperimentando il loro stile “sulla pelle”: Helmuth Newton, Ellen Von Unwerth, Francesca Woodman, Joel Peter Witkin, Davide Lachapelle, Eugenio Requenco, Saudek, Frantisek Drtikol e Terry Richardson.
Il motivo? Ce ne sono tanti ma sicuramente il filo conduttore che li unisce tutti  è ossessione e coraggio.
Cosa non è per te la fotografia ?
La fotografia nasce come arte su commissione, con dei paletti da rispettare, con dei doveri di comunicazione da assolvere: una sfida continua. Ecco perché amo il mio lavoro.
Fondamentalmente però la reputo più un linguaggio in cui c’è simbiosi tra forma e contenuto. La foto deve avere un significato, e questo si esprime meglio in  una una sequenza.
L’insieme delle sequenze di un fotografo dovrebbero farne evincere l’identità stilistica, il suo tormento interiore e la sua follia. Non esiste creatività senza un pò di follia.
Quanto è importante la luce in fotografia?
Parlando di luce:  non serve ad illuminare una scena,  ma a  caratterizzare un ritratto e conferire un’atmosfera coerente al messaggio che vogliamo veicolare. Grazie agli schemi di illuminazione e alle tecniche di composizione basate sulla percezione visiva, è colei che conferisce l’atmosfera alla nostra foto e quindi è la forma che serve a veicolare il contenuto, l’idea, il concept delle nostre immagini. Per questo insegno ad usare la luce e a costruire gli schemi luce (dai già semplici ai più complessi). Devi conoscerla per non doverci pensare, perché sul set devi impegnarti in altro: concentrarti sul messaggio della tua fotografia.
La luce serve anche a fotografare e a non fare il mestiere di grafico. La foto deve essere già lì,  pronta, perfetta, creata al primo scatto così come l’hai pensata. La post produzione non potrà mai sostituire la luce. Questo insegno nei miei corsi, seminari, workshop e nei master one-to-one .
Qual e` la sfida di ogni scatto?
Quella più ambiziosa è comunicare una parte di me, ma sicuramente ancora non ci sono riuscito.
In termini più modesti, è fare qualcosa che non ho mai fatto prima, soprattutto  concettualmente, perché tecnicamente credo di aver sperimentato di tutto.
Questo atteggiamento  vale anche per gli eventi in cui realizzo un set: mi metto in difficoltà da solo.
Non preparo mai dei set dimostrativi ma faccio scegliere al pubblico cosa vogliono dalla foto, cosa immaginano sotto ogni aspetto.  Definita l’immagine da realizzare e l’atmosfera da conferire, in massimo cinque minuti, dopo una rapida serie di spostamenti luce, selezione modellatori , misurazioni esposimetriche, costruzione della scena e della posa con le modelle/i, deve uscire esattamente al primo scatto così come immaginata, senza secondi  tentativi, senza alcuna prova e senza guardare sul display. Immagino di avere un rullino con un’unica posa a disposizione e dover fare la foto della vita.
Ecco la pecca del digitale che ci aiuta in tutto, è solo quella che ha indotto a pensare meno prima di aprire l’otturatore.
Che cos’è la curiosità?
E’ la base della nostra identità
Chi o cosa ti piacerebbe fotografare ?
Un buco nero, ma con la mia reflex.
Qual e` il tuo prossimo progetto?
Completare il mio libro: manuale di  illuminotecnica al servizio dell’atmosfera e della comunicazione visiva in fotografia e nel video (naturalmente questo non sarà il titolo).
Quali tappe hai attraversato per diventare il fotografo che sei oggi?
Parlando delle tappe… ho iniziato a fotografare da ragazzino, non per l’attrazione verso la tecnica ma per il linguaggio fotografico.  Soprattutto fotografavo perché avevo paura del tempo, il tempo  che cancella  i ricordi.
Mi nascondevo ovunque e ritraevo i miei parenti in pose “rubate” nei momenti quotidiani più comuni, senza far avvertire la mia presenza.
Mai ritratti in posa ( paradossale direte), foto di gruppo per cerimonie o cose che rappresentano in qualche modo un “dovere” di posa, ma solo attimi di verità che rispecchiassero un lato di chi avevo davanti.
Questo per non alterare, per avere un ricordo, quando loro, non sarebbero stati più con me. Una lotta contro il cancellare dei ricordi che la nostra mente tende sempre più a perdere o sbiadire.
Il primo soggetto che scattai quando poi la fotografia divenne una vera e propria  attività fu la mia cara nonna Lucia.
Primo dirottamento:  a vent’anni mi regalarono una reflex e chiesi a mio padre, fotoamatore ritrattista evoluto,  a cosa servita il rapporto tra tempi e diaframmi.
Mi disse “no, lascia stare, troppo complicato “. Iniziò la mia sfida personale.
Mi misi prima a studiare sui suoi tanti libri di fotografia, prevalentemente orientati alla tecnica e alla composizione, poi andai alla ricerca della mia identità  attraverso quel linguaggio fatto di luce.
Trasformai la cucina in una camera oscura e inizia a sperimentare il sistema zonale di Adams.
Conobbi vari fotografi a cui feci da assistente, e presi da loro solo il meglio rispetto a specifici aspetti della fotografia.
Secondo dirottamento:
Nel 2002, studiando Adams e cercando su internet argomenti correlati, trovai il Centro Sperimentale di Fotografia  Adams di Roma, scuola dove fui prima allievo e poi docente.
Li imparai le tecniche di illuminazione per il ritratto, gli schemi luce della tradizione,  ma soprattutto il senso della portrait photography. Capii che la luce non è illuminare bene, ma è caratterizzare il soggetto e conferire una specifica atmosfera al ritratto.
Ricordo ancora la prima sessione in cui scattavamo in medio/grande formato un set di nudo in cui lo sfondo era stato costruito con materiali sagomati, per sperimentare  in modo pratico lo  stile di Frantisek Drtikol
Col tempo La passione si trasformò in ossessione e cambiò il mio stile di vita e poi la mia vita stessa.
Giornata tipo nel periodo fra il 2003 ed il 2005:
8:00 – 18:00 ufficio – 18:30 partenza per Roma per frequentare corsi serali. Rientro a casa a mezzanotte e mezza. 1:00 del mattino cena. 1:30 – 4:00 del mattino in camera oscura o nel piccolo studio che avevo allestito. Ore 7:30 sveglia dopo 3 ore di sonno e di nuovo in ufficio.
Nel week end iniziai a seguire fotografi importanti e a scambiare mail con i miei idoli di allora tra cui Giovanni Cozzi.
Abbandonai gradualmente il mio lavoro in azienda e poi diventai fotografo full time.
Terzo dirottamento:
La voglia di imparare e di condividere. Quest’ultima mi ha portato ad insegnare il mio approccio alla fotografia e all’illuminazione. Lo definisco il mio sistema, ma ho solo messo insieme pezzi di tanti Giganti, come Ansel Adams.
Per questo oggi spiego in dettaglio ogni cosa che faccio realmente sul mio set senza riserve e senza stupide gelosie. Se qualcuno diventa più bravo di me? Felicissimo, è stato un mio allievo e una parte di me forse vivrà  a lungo di me.
Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso?
La poca autostima e l’ego di molti  fotografi ( non tutti grazie al cielo).
Da allievo ti dicono  “si dai, sei bravo! Continua così”.
Quando inizi ad entrare nel mondo professionale  provano a screditarti per paura che calpesti il loro orticello.
Quando ti fai un nome, ti ritrovi la richiesta di amicizia.
Quali esperienze decisive hai avuto nell’ambito fotografico?
La mia prima copertina e la mia prima campagna pubblicitaria realizzata a Lugano con la top model Xenia Tchiumicheva nel 2011.
Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto?
Nel mio ambito l’attimo giusto te lo devi costruire.  Il “click” lo potrebbe  fare tranquillamente un mio assistente.
Che rapporto cerchi di instaurare con le persone/soggetti che vuoi ritrarre? 
Il ritratto ( vale per ambientato, istituzionale, fashion, glamour e tutto ciò che riguarda la fotografia di soggetto) è un momento di verità condivisa, che nasce  dall’opera  di molti attori,  ma di tre in particolare  ( cito lontanamente Roland Barthes ): soggetto ripreso, fotografo e fruitore dell’immagine.
Ritrarre non  è catturare l’essenza o ( peggio ancora)  “l’anima” di una persona: troppo ambizioso. 
Le persone cambiano nel tempo e cambiano anche modo di porsi in relazione a chi hanno davanti e spesso anche rispetto a se stessi. In forma più lieve cambiano anche dal mattino alla sera e questo ha influenza su ogni genere di ritratto.  Per quanto mi riguarda ogni ritratto è sempre consapevole. Non esiste il ritratto rubato. Esiste una persona che è li per “ parlare”  cosciente di essere ripresa e interpretata tramite te e attraverso le immagini. Anche la più costruita delle scene in una posa di moda, deve essere vissuta dal soggetto con introspezione, intensità e deve essere un momento di verità condivisa. L’approccio? Entrare dentro, abbattere ogni fronzolo, mettere prima a nudo se stessi.  Nel mio caso lo faccio  attraverso l’ossessione  per il risultato finale di quel set che sarà una piccola fotosequenza. L’ossessione e la passione  deve essere contagiosa per tutti gli attori del set, dalla modella all’assistente sul set. Solo così riesco a fare un buon ritratto.
Cosa ha influenzato il tuo stile?
Molte cose. Lo studio della psicologia, della comunicazione e percezione visiva, dell’economia,  dell’illuminotecnica, dell’estetica, della fotografia di moda, dell’iconografia pin up, dell’evoluzione del costume e tante discipline apparentemente non inerenti.
Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare ?
A parte il coronavirus, nessuna.
Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?
Mentre facevo un set vicino ad un piccolo lago, preso dal dirigere la modella e assorbito dal set, non mi accorsi che stavo sprofondando nel fango e per tirarmi fuori i miei assistenti hanno dovuto buttare dei tronchi a terra e cavare fuori facendo una catena umana.
Cosa è cambiato quando sei passato dall’analogico al digitale?
Nulla. La fotografia è sempre fotografia. La post produzione dovrebbe restare nel suo ruolo. La fotografia si pensa, si realizza tecnicamente sulla base di un metodo scientifico, e non serve guardare nel display per capire: lo scatto deve uscire già perfetto al primo scatto, così come lo abbiamo pensato. In questo non trovo alcuna difficoltà perché ho studiato, non perché sono un talento.
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