Bentornati a “Racconti Fotografici” eccoci alla 54° edizione , oggi intervistiamo il fotografo Mario Mendula , buona lettura.
– Salve a tutti, mi chiamo Mauro Mendula e sono fondamentalmente un fotografo paesaggista. Da anni – dopo la laurea in filosofia – approfondisco ‘sul campo’ le implicazioni teoriche e pratiche che la digitalizzazione dell’immagine ha portato in ambito fotografico.
Sono autore finalista del Premio Per la Qualità Creativa in Fotografia Professionale TAU Visual – fotografi Professionisti Italiani. Ho inoltre ricevuto diversi riconoscimenti in contest internazionali, come il MIFA, FAPA, IPA, PX3 Paris, IPOTY.
Da piccolo cosa sognavi di fare?
– Da piccoli si vagheggiano tante cose. Sognavo però spesso di fare l’esploratore, passione che ho poi ‘traslato’ anche nello studio, sognando di fare il ricercatore in ambito accademico, cosa che – ahimé – non ho potuto realizzare. Ovviamente la macchina fotografica al collo era ricorrente sia nei sogni che nella realtà.
La prima foto che hai scattato?
– Penso con la Polaroid di mio padre (che ora conservo gelosamente): una scena di vita quotidiana in famiglia. In casa ho visto passare un po’ di macchine fotografiche, perché il mio papà ha sempre avuto anche lui una certa passione, contagiata a me ed a mio fratello Angelo, anche lui fotografo.
Quali sono i fotografi a cui ti ispiri e perchè ?
Se dovessi andare a ritroso, direi Ansel Adams e Vittorio Sella, entrambi per aver precocemente intuito l’importantissima relazione tra la fase di ripresa e sviluppo, di come la seconda sia di vitale importanza nella valorizzazione ed interpretazione di uno scatto. Mi riferisco ad esempio alle variazioni nella stampa della famosissima Moonrise Over Hernandez di Adams, oppure alle fantastiche interpretazioni dei panorami alpini di Sella, il quale virava le sue stampe con oro, uranio, seppia, doppio tono, nell’intento di restituire le forti sensazioni che aveva provato contemplando scenari d’inaudita bellezza.
Cosa non è per te la fotografia ?
Partirei innanzitutto da cosa essa rappresenta per me. Ho un concetto un po’ ampio di cosa sia la fotografia: assieme ad altri linguaggi come ad esempio la letteratura, la poesia o la filosofia, è un esercizio di mediazione dell’esperienza. Entrambi questi medium – chi più, chi meno – partono appunto dall’esperienza immediata della realtà e ad essa ritornano, per illuminarla ed interpretarla. In modo più stringente, dunque, per me la fotografia finisce e muore laddove non ci sia più il richiamo originario al dato che si è realmente offerto alla visione: niente dato, niente fotografia, ma solo grafica o digital compositing.
Qual e` la sfida di ogni scatto?
Rendere giustizia alla realtà ripresa ed alle sensazioni provate in quel momento.
Che cos’e` la curiosita`?
Un ottimo propulsore per l’intelligenza, anche fotografica.
Chi o cosa ti piacerebbe fotografare ?
Panorami che ancora non ho potuto vedere coi miei occhi. Ne avrei diversi nella mia lista dei desideri. Ma anche qualche incursione in altri generi fotografici non mi dispiacerebbe, dalla ritrattistica al reportage.
Qual e` il tuo prossimo progetto?
Un libro fotografico, con foto e testi di mia realizzazione ed un Workshop.
Quali tappe hai attraversato per diventare il fotografo che sei oggi?
In primis certamente vi è quella di un approccio più ragionato verso la fotografia. L’acquisto della mia prima reflex a rullino ha segnato questo passaggio. Poi chiaramente il salto dall’analogico al digitale, e tutta la fase di approfondimento sullo sviluppo in ‘camera chiara’ che con la pellicola demandavo completamente allo sviluppatore, a cui lasciavo i miei rullini. Questa mi ha aperto infiniti orizzonti.
Che difficoltà hai incontrato lungo il tuo percorso?
E’ stato un percorso abbastanza progressivo, direi concentrico di approfondimento, nel quale ho cercato di affinarmi sia in ripresa che in sviluppo. Le difficoltà maggiori sono state – e sono tutt’ora – nel cercare di esprimere al meglio il momento vissuto in ciascuna foto.
Quali esperienze decisive hai avuto nell’ambito fotografico?
In assoluto la scoperta del digitale e la possibilità di padroneggiare l’intero iter che va dallo scatto alla stampa, senza demandare a terzi.
Che cosa è necessario per poter cogliere l’attimo giusto?
Una buona preparazione e – per la fotografia paesaggistica – una meticolasa pianificazione dei luoghi. Alla fine però la fortuna ha sempre un ruolo importante, ma se non sei preparato perdi il treno e non cogli l’attimo come dovresti.
Che rapporto cerchi di instaurare con le persone/soggetti che vuoi ritrarre?
Fotografo fondamentalmente paesaggi: direi dunque che cerco sempre di assumere un habitus contemplativo e di grande ricettività nelle location che riprendo. Cerco di godermele al massimo, spesso spegnendo anche la macchina fotografica.
Cosa ha influenzato il tuo stile?
Tutto e niente. Nel senso che nell’era digitale le influenze e le sollecitazioni sono davvero tante per riconoscerle tutte, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo. Direi l’osservazione minuzione di grandi paesaggisti vecchi e contemporanei.
Quali sono i problemi che riscontri oggi nel fotografare ?
Il grande pregio del digitale e dei social network, nel rovescio della medaglia, può creare un po’ di problemi. Nel senso che se da un lato la fotografia è cresciuta per utenti e preparazione, l’eccessiva inflazione d’immagini tende ad appiattirci un po’ tutti ed a renderci molto simili per stile ed elaborazione. Manca il limite e l’isolamento che spesso invece sono necessari per affinare uno stile ed un gusto davvero personali ed originali.
Ci racconti un tuo aneddoto particolare o simpatico?
Ahaha, potrei raccontare il classico aneddoto che ciascun paesaggista ha nel suo repertorio: quello di osservare il cielo e congedare – seduta stante – familiari, amici, parenti, per correre a prendere zaino e stativo e fuggire in macchina su qualche altura, magari dimenticando pure il giubbotto e beccandosi una bella sinusite, che però può valere un panorama con cumulonembo annesso 😉
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